La community Incel, una filter bubble letale

Tempo di lettura: 4 minuti

I social network fanno di Internet un’estesa rete sociale potenzialmente capace di mettere in contatto ogni individuo sulla faccia della Terra. È sufficiente essere in possesso di un dispositivo di accesso alla rete e di una connessione. Grazie a questa estesa rete sociale, è sempre più facile trovare persone con interessi in comune.

Ma concretamente che cosa succede quando persone con caratteristiche simili o che condividono medesime credenze e/o visione del mondo, abbigliamento o stile di vita, si incontrano? Ne nasce una subcultura.

E quando quell’elemento in comune è un profondo odio per le donne? Si parla di incel.

ABC di Internet: le subculture

Internet è «il luogo utopico di uno spazio sociale dove età, genere ed etnia risulterebbero infinitamente riscrivibili, consentendo al soggetto di sperimentare forme postmoderne di identità fluida e multipla» (Treccani); e proprio in quanto spazio sociale, risulta il perfetto terreno di coltura delle subculture di Internet.

Il termine “subcultura” (o “sottocultura”) è usato nell’ambito della sociologia e dell’antropologia per indicare un gruppo di persone con caratteristiche simili, quali ad esempio l’età, l’etnia, la classe sociale oppure le credenze, la visione del mondo o ancora lo stile di vita o più semplicemente l’abbigliamento. Vengono ricondotti loro atteggiamenti e comportamenti che insieme costituiscono una propria cultura, distinta da quella della società globale. Tra le subculture più note ricordiamo i punk, gli skinhead o i paninari dell’Italia degli anni Ottanta; e ancora, gli hipster degli anni Dieci del Duemila.

Poiché Internet non è altro che un’estensione virtuale della nostra società, si presta come un luogo perfetto per la nascita di nuove subculture. In effetti, oggigiorno non potrebbero svilupparsi altrove. Una delle applicazioni più ricche di subculture potrebbe essere TikTok, che tramite i suoi algoritmi divide automaticamente gli utenti in diversi segmenti. A partire dai classici otaku, che oggi si fanno chiamare weeb, cioè gli appassionati di manga e anime, fino alle subculture più recenti come quella degli e-boy e delle e-girl (dalla lingua inglese “ragazzi elettronici” e “ragazze elettroniche”), che parrebbero la versione più moderna e digitale degli emo dei primi anni Duemila. 

Di solito sono subculture innocue in cui gli adolescenti possono riconoscersi per soddisfare il bisogno di appartenere a un gruppo e sentirsi inclusi, accettati. Ed è così sicuramente anche per gli incel, se non fosse che l’odio che li ha accomuna ha avuto e continua ad avere conseguenze devastanti sulla vita di altri.

Chi sono gli Incel?

Il termine inglese incel è un neologismo della cultura di Internet composto dalle parole inglesi involuntary e celibate, e traducibile in italiano come “celibe volontario”. Il termine descrive i membri della omonima subcultura, i quali si definiscono incapaci di trovare un partner romantico o sessuale sebbene ne desiderino uno, perché rifiutati in quanto non attraenti. Ovviamente la colpa di questa solitudine ricade sull’oggetto dei loro desideri: le donne, perché gli incel sono primariamente uomini eterosessuali bianchi.

Immagine raffigurante un uomo seduto su un divano con in grembo un computer

Sembra un controsenso, se si pensa che il fenomeno degli incel è nato su iniziativa di una donna. Nel 1993 una studentessa canadese, che si fa chiamare Alana, creò il sito web Alana’s Involuntary Celibacy per discutere la sua inattività sessuale. Ben presto il sito divenne un luogo virtuale dove persone sole che avevano un rapporto complicato con l’amore, potevano trovare conforto, solidarietà e talvolta consiglio.

La situazione iniziò a precipitare nel 2000 quando Alana realizzò di essere bisessuale e la sua vita sentimentale e sessuale iniziò di conseguenza a migliorare. Giustamente decise di lasciare la gestione del sito web ad un altro utente e di abbandonare la community. Non aveva la minima idea che in pochi anni il sito avrebbe dato vita ad un movimento di odio e di violenza.

Nel corso degli anni Duemila apparvero su Internet siti web come 4chan (2003) e love.shy (2004) in cui si radunava un pubblico simile. La scarsa moderazione dei siti permise alle fazioni più estremiste di prenderne il controllo. In alcuni casi furono gli stessi siti web a favorirne i contenuti, come fece inizialmente Reddit, intervenendo solo nel 2017 con una nuova policy. Nacquero così quelle che oggi conosciamo come community incel.

Quello che distingue gli e-boy e e-girls dagli incel è l’impatto della loro presenza digitale sul mondo reale. L’ideologia incel ha portato con sé conseguenze devastati sulla nostra società: dal 2014 sono almeno 6 le stragi commesse da soggetti che si sono associati alle community incel e 44 sono le persone che hanno perso la vita.

Una radicalizzazione naturale?

La radicalizzazione del fenomeno Incel potrebbe essere congenita della struttura dei social networks sites e quindi indirettamente anche di Internet.

I social network sites veicolano i loro contenuti in modo tutt’altro che imparziale a causa dell’intervento degli algoritmi che generano le cosiddette filter bubble. Nelle filter bubble, gli utenti sono esposti – spesso inconsapevolmente – a contenuti pre-selezionati non per contraddire, ma per confermare i propri pregiudizi cognitivi e sociologici.

Immagine raffigurante una bolla di sapone

In questo modo, l’ambiente digitale diventa omogeneo e impermeabile a prospettive divergenti. Si elimina la possibilità di confronto e di dibattito, producendo così una falsa illusione di consenso diffuso. In più, noi essere umani siamo compromessi da un meccanismo mentale detto “realismo ingenuo”: siamo indotti a considerare come unica e vera la nostra percezione della realtà, mentre quella degli altri sarebbe disinformata, irrazionale o distorta.

Con queste premesse, la radicalizzazione delle community incel non sembra un fenomeno più così inverosimile.

Taylor J. (2018). The woman who founded the ‘incel’ movement. BBC.

An Qi ha conseguito una laurea triennale in Scienze umanistiche per la comunicazione tra mille lavori in nero, poveri stage milanesi e articoli di volontariato, perché senza ansia non riesce letteralmente a funzionare. Una volta bambina prodigio, esperta di corsivo e di ascoltare-le-lezioni-mentre-disegna-allegramento-sui-quaderni, oggi cerca di inabissarsi di impegni e di ansie per giustificare la paura del fallimento che la induce a procrastinare fino all’ultimo. Sarà per questo che ha ottime doti di multitasking? Però! però è anche una maniaca perfezionista, quindi il suo sporco lavoro, lo fa e pure bene sia in ambito universitario che lavorativo. Chiedete in giro. Da precisa gifted child quale era, non sa rispondere alla fatidica domanda: «Che cosa vuoi fare da grande?». Copywriter? Forse. Social Media Manager? Di una cosa è certa: TikTok è la sua ultima ossessione, ma è convinta che l’algoritmo ce l’abbia con lei. Magari la grafica? Deve soltanto trovare i soldi per permettersi un corso decente. Solo il tempo lo saprà dire.